Pinocchio

“La cosa che conta non è ciò di cui sei fatto, ma quello che hai nel cuore”. Un monito semplice, ma diretto, che rammenta a Pinocchio (e a tutti gli spettatori dell’ultimo remake Disney) di essere sempre sé stessi, a prescindere dalle influenze esterne in cui un bambino può incappare. Le opinioni e i consigli altrui possono far traballare pericolosamente la coscienza, trasformando la propria personalità in qualcosa di falso o, peggio ancora, di lontano da sé. Zemeckis elabora questo messaggio, già presente nell’opera magistrale di Collodi, per ampliarlo verso un concetto di tolleranza e inclusività.
Pinocchio, un quasi bambino-quasi burattino, cerca consenso rispetto alla sua natura negli occhi di tutte le altre persone che incontra lungo il suo cammino impervio. In casa, teme di non essere abbastanza conforme all’ideale di bambino immaginato da Geppetto che lo ha plasmato come surrogato del figlio tragicamente morto. Oltre le mura domestiche si vede altrettanto spaurito, fuori posto e scacciato a causa della sua diversità. Il suo essere “quasi” instaura in lui un conflitto interiore doloroso, placato solo grazie al Grillo Parlante e a una marionetta guidata da una ragazza menomata a una gamba, incontrate al circo di Mangiafuoco. Le due figure femminili, che si trovano anch’esse a metà tra i due mondi, aiutano Pinocchio a traghettarsi verso il progressivo mutamento da pupazzo a bambino, permettendogli di vivere un’unione perfetta di anime in un unicum.
Un film dalle grandi connotazioni fiabesche, nonché ricco di effetti speciali, adatto a tutti.