Lo Spaesato

In una società che guarda al cosmopolitismo, dove ciò che conta è la riproducibilità in larga scala di fenomeni culturali asseribili al mero commercio, “Lo Spaesato” è una scommessa, simpaticamente ardita, della tv di Stato, volta a proporre un’alternativa al contemporaneo status quo.
“Torna a vivere al paese!”: questo potrebbe essere lo slogan promozionale insito nel sottotesto del nuovo programma di Teo Mammucari, ultimo vero istrione della comicità improvvisata dello Stivale. Sì, perché sulla carta “Lo Spaesato” si presenta come una “Linea Verde” ma con una nota più ridanciana.
Partendo da uno stile di racconto da documentario tradizionalista, si esplora un paese dell’entroterra italiano, ma è proprio sulle prime note dello show che si comprende come la presenza dello stesso presentatore muti drasticamente il suddetto genere televisivo. Mammucari si aggira per i borghi con il chiaro intento di scovare i “locals”, ovvero le persone del luogo più particolari, pronte a mostrargli le tradizioni, i luoghi simbolo e le stranezze del posto. E così, le persone comuni si tramutano in personaggi da trasmissione; in un secondo momento, essi diventano delle vere e proprie personalità da sfoggiare a teatro, luogo in cui il presentatore mostra all’intera comunità il lavoro documentaristico conclusivo. Ed è qui che ci si apre a un’ibridizzazione dello show, perché il contatto fisico immediato tra Teo e gli spettatori fa emergere improbabili siparietti e coinvolgenti gag che non fanno altro che aggiungere colore e calore all’assetto narrativo. Uno show adatto a tutti.