Cose nostre

Il racconto della malavita nel corso degli ultimi decenni ha assunto una sfumatura romanzata che ha trasformato i personaggi più temibili dell’illegalità nostrana in qualcosa similare a eroi da fumetto o, peggio ancora, da blockbuster.
Per scongiurare una deriva immaginifica nelle menti dei telespettatori, giunge in soccorso il programma televisivo d’inchiesta “Cose nostre”.
Trattasi di una lunga serie, a cadenza settimanale, di docu-reality in onda nella seconda serata di Rai 1, gestiti dalle sapienti mani della giornalista Emilia Brandi.
La trasmissione, infatti, è un patchwork linguistico ben assortito che unisce diverse sottostrutture narrative: interviste a tu per tu, impiego di reperti di cronaca, video ricostruzioni e conseguente recap descrittivo della conduttrice. Senza retorica, con uno stile asciutto e puntuale, il programma disvela le storie di uomini e donne che hanno incontrato la violenza della malavita organizzata italiana.
Le puntate possono concentrarsi o su testimonianze di personalità – magistrati, giornalisti, imprenditori, sindaci – che hanno deciso di opporsi con fermezza, e conseguentemente di lottare contro le mafie con l’impiego della legge, oppure si soffermano sulla riproposizione di identikit di ex malavitosi che, in seguito, sono divenuti collaboratori di giustizia.
Mai come in questo caso è da applaudire l’impiego comunicativo adoperato per descrivere un tema così delicato. Alla fine di ogni puntata lo spettatore esce con una rinnovata consapevolezza di cosa sia giusto e sbagliato nella vita. Adatto ai +16 per i temi proposti.